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Approfondimento Luigi Buffoli

A.1 – Il Monumento di Buffoli

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Il monumento fu eretto nel 1920.

Si trova sul viale a lui dedicato all’incrocio con viale Cooperazione al centro del Milanino che Buffoli sognò e realizzò

 

In questa pagina scopriamo: 

 

A.1.1. – Luigi Buffoli

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Questa è una delle poche immagini di Buffoli di cui oggi disponiamo.

Personaggio molto schivo, non amava farsi ritrarre.

 

Nasce a Chiari (BS) il 27 agosto 1850, muore a Milano il 5 ottobre 1914.

Pochi studi, inizia presto a lavorare come commesso per dare una mano in famiglia. Trova impiego nell’amministrazione ferroviaria a Torino e poi a Milano.  Da subito Buffoli si interessa alla cooperazione e nel 1879 è tra i fondatori della Cooperativa Ferroviaria di Milano, che pur tra varie vicende crebbe fino a diventare una delle principali in Italia.

Nel 1882 collabora alla costituzione della Cooperativa tra Impiegati e Professionisti e nel 1886 fonda l’Unione Cooperativa, dove finalmente riesce a realizzare il cosiddetto modello inglese (vendita a soci e non soci ai migliori prezzi di mercato, con ripartizione degli utili fra tutti i consumatori, in proporzione agli acquisti fatti). Le altre cooperativa praticavano la vendita a prezzo di costo. Buffoli invece riconobbe sempre l’importanza del capitale e della sua remunerazione: qualsiasi società, anche cooperativa, deve contare su un capitale robusto, adeguato al volume di attività che vuole intraprendere e per attrarre i capitali non c’è altra via che riconoscere un interesse adeguato. I profitti di una società, anche di tipo cooperativo, certo devono essere ripartiti tra i consumatori, destinati al fondo di previdenza o a riserva, ecc., ma devono anche pagare l’interesse sul capitale, che viene fissato dallo statuto ad un livello massimo non speculativo. La società cooperativa è quindi diversa dalle società anonime non perché disdegna il profitto, ma perché ha regole solidali per la sua distribuzione, pari dignità tra tutti i soci (“una testa, un voto”) indipendentemente dalle azioni possedute ed accesso facile per tutti al capitale sociale mediante la sottoscrizione di quote anche minime e pagate a rate. Un pensiero decisamente “fuori dal coro” negli anni in cui da una parte si usavano i cannoni per mantenere l’ordine pubblico e dall’altra si pretendeva che la cooperazione fosse uno strumento della lotta di classe per la rivoluzione proletaria!

Dal 1889 al 1994 è membro del consiglio comunale di Milano nella lista liberale, rifiutando in seguito ogni ulteriore candidatura, anche quella a deputato, per mantenere la sua azione di cooperatore indipendente dalla politica.

Seguace di Luigi Luzzatti,  uno dei grandi maestri della cooperazione italiana, sostenne sempre la neutralità e l’apoliticità della cooperazione, opponendosi, anche nel clima rovente degli ultimi anni dell’800, ad ogni confusione tra il movimento cooperativo e le organizzazioni politiche o sindacali. Durante il decimo congresso della Lega delle Cooperative (Torino, ottobre 1899) propose una modifica dello statuto in questo senso, ma fu battuto, anzi fu accusato di sostenere la “cooperazione bottegaia”. In seguito, pur dissociando la sua Unione Cooperativa dalla Lega, continuò a collaborare ed a partecipare ai congressi. Per anni, con una visione manageriale moderna, si adoperò fattivamente, purtroppo con scarsi risultati,  per la fusione delle tante cooperative milanesi e lombarde in un unico grande organismo, in grado di imporsi efficacemente sul mercato grazie alle sue dimensioni.

Luigi Buffoli muore a Milano, dopo un paio d’anni di malattia. I funerali sono celebrati in forma solenne al Cimitero Monumentale, con la partecipazione di altissime personalità e di una gran folla di comuni cittadini. Il giorno dopo, con una cerimonia più semplice, è seppellito a Cusano. La tomba, orientata verso Milanino, ci ricorda ancora oggi il sogno della sua vita:

Luigi Buffoli per espressa sua volontà qui riposa e guarda dal romito cimitero campestre la prima città-giardino da lui pensata e voluta.

I funerali di Buffoli a Cusano sul Seveso. (8 ottobre 1924)

Alla prima seduta dopo la morte (il 25 ottobre), in onore di Buffoli che tanto aveva fatto per la città, il Consiglio Comunale delibera di cambiarne il nome in Cusano Milanino e di intitolargli il viale centrale della Città Giardino, spostando la dedica alla Cooperazione al viale per Cinisello, l’altro asse del neonato villaggio.

A.1.2. -  L’Unione Cooperativa

 

Luigi Buffoli fondò l’Unione Cooperativa il 27 luglio 1886. All’inizio e per i primi anni, i soci furono solo impiegati e professionisti. Poi l’accesso fu consentito a tutti coloro “che non hanno interessi contrari alla cooperazione”. Buffoli puntò molto su una cooperazione interclassista. Pur rivolgendosi prevalentemente al ceto medio ed alla piccola borghesia (soprattutto per facilitare l’apporto di capitali), favorì la partecipazione di tutti i ceti sociali, nella convinzione che solo nella cooperazione si potesse realizzare una fratellanza tra tutti gli uomini superando le barriere di classe.

A.1.2

Unione Cooperativa – Enopolio

La macchina per tappare ed etichettare

Unione Cooperativa - Macello suino e fabbrica di salumi

 

La scelta iniziale del solo settore dell’abbigliamento e casalinghi era dovuta alla necessità di non fare concorrenza alle altre cooperativa sui generi alimentari. Le vendite iniziarono subito nella sala ritrovo della Associazione Generale tra gli Impiegati Civili di Milano, prestata a titolo gratuito durante il giorno, con un tavolo su cui venivano esposte scatole di cravatte, colli, polsi e campioni di stoffa sui quali ordinare abiti che sarebbero poi stati confezionati a prezzi prestabiliti.

Il successo fu immediato e l’espansione continua. La sede viene via via ampliata attraverso l’affitto di nuovi locali e diversi traslochi, fino all’acquisto (nel 1905) del prestigioso palazzo Turati in via Meravigli, oggi sede della Camera di  Commercio di Milano.

Unione Cooperativa – La sartoria

 

L’attività comprende non solo la vendita, con reparti che coprono i settori merceologici più diversi, dall’alimentare, all’abbigliamento ai casalinghi; ma anche i servizi di ristorazione, con ristoranti (quello presso la sede centrale aveva perfino la sezione vegetariana), buvettes (o Sale Assaggi come venivano chiamate) dove fu introdotta la colazione all’inglese da consumarsi in piedi, cioè la versione di inizio novecento dell’odierno panino dei forzati del terziario), pasticcerie,  gelaterie; la consegna a domicilio di vino e latte; la produzione di mobili, latte, pasticceria fresca, biscotti, un grande macello suino.

Unione Cooperativa – la scuola apprendisti

 

Fiore all’occhiello del reparto alimentare era la celerità del servizio, dovuta al fatto che la merce veniva predisposta in pacchetti di diversa misura e peso, pronta per la consegna al cliente: il modello del grande magazzino, che in Italia muoveva allora i primi passi.

Insomma una grande azienda capace di integrare al suo interno diversi segmenti della filiera produttiva e fornire prodotti e servizi diversi a prezzi concorrenziali. Curò sempre la formazione dei propri dipendenti, con scuole ad essi riservate e continui viaggi all’estero per conoscere le esperienze cooperative europee. Gestì una scuola per apprendisti. Introdusse la pratica del riposo festivo, una novità assoluta nel campo del commercio ed arrivò a tentare l’abolizione del lavoro notturno nei propri forni per il pane. Invece di raccogliere l’adesione entusiastica di tutti i lavoratori milanesi, oltre a subire “una perdita di produzione impressionante”, fu perfino abbandonata da altre cooperative di cui era fornitrice. Introdusse anche, per gli impiegati del reparto abbigliamento, forme di incentivazione basate sulla riduzione degli stock. Pubblicava due volte l’anno un catalogo distribuito in tutta Italia sul quale si poteva ordinare per corrispondenza.

Fin dai primi anni l’Unione si pose l’obiettivo di arruolare un terzo di socie femmine (la quota rosa ante litteram) e presto lo raggiunse e lo superò: nel 1905, ad esempio, i soci erano 11.481, dei quali 4298 signore. 

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Nel 1901 Buffoli inaugura l’Albergo Popolare a Porta Genova, per chi veniva a Milano per lavoro o altro e aveva mezzi limitati.

Nel 1905, in Via Colletta, zona di Corso Lodi, Buffoli apre il Dormitorio Popolare, per chi proprio non aveva mezzi.

E’ del 1907 l’Albergo Diurno: situato in centro, vicino alla galleria, esso offre servizi a chi non ha una base in città: ufficio informazioni, sala d’attesa, sala ristoro, recapito postale, deposito oggetti. Un anticipazione di ciò che oggi chiamiamo un bussiness center.

Alla fine del primo decennio del novecento, quando parte la costruzione del Milanino, l’Unione Cooperativa è la più forte cooperativa italiana: oltre 14.000 soci, capitale di quasi 6 milioni, riserve per 2.300.000, quasi 11 milioni di volume di vendita con un avanzo d’esercizio di oltre 700 mila lire (bilancio 1909).

L’Unione Cooperativa per i suoi cataloghi si avvelava dei migliori cartellonisti

 

Alla morte di Buffoli, il primo scossone: una leggera crisi dei consumi insieme a dissidi tra i dirigenti  per la nomina del nuovo presidente, determinano una fase di sfiducia dei creditori e dei soci che chiedono in gran numero il rimborso dei crediti o delle quote. 

Subito dopo scoppia la guerra, con il prevedibile disastroso impatto sulle vendite. I bilanci dell’Unione appaiono tuttavia ancora floridi, poiché essa fu incaricata della gestione annonaria del comune di Milano, cioè dell’approvvigionamento di tutti i generi contingentati forniti dallo stato. Raddoppiò gli spacci in città ed aprì diverse sedi nelle zone di guerra, subendo però gravi perdite per danni e distruzioni. Nel dopoguerra, con un’inflazione ormai galoppante, continuò l’espansione fino al 1920, l’anno del fatturato record (quasi 110 milioni, con la restituzione ai consumatori del 3% sugli acquisti): nuove succursali sia per il ramo alimentare che per il ramo vestiario, una torrefazione del caffè, la produzione di estratti e droghe, la fabbrica di mattoni al Milanino. 

Paradossalmente, l’inaugurazione del monumento a L. Buffoli a Milanino (24 ottobre 1920), segna l’inizio della fine. La gravissima crisi dei consumi del 1920-21, con il conseguente crollo dei prezzi, la concorrenza che si fa spietata (anche i commercianti privati svendono a prezzi da stock), l’insufficienza del capitale sociale, non più incrementato dal 1911, con il conseguente massiccio ricorso al credito per coprire l’indebitamento crescente, la mazzata tremenda dei nuovi oneri fiscali (tassazione degli ingiusti profitti di guerra), portarono l’Unione Cooperativa sull’orlo del fallimento. 

Nel 1923 cedette il Milanino ad una Società Anonima, subì l’infiltrazione di esponenti fascisti nei propri organi, il consiglio di amministrazione si dimise e l’Unione fu commissariata. Nonostante le massicce dismissioni, l’azienda non fu risanata e nel 1925 entrò a far parte dell’Ente Nazionale della Cooperazione, l’organismo del regime.

Sopravvisse malamente fino al 1929 quando fu smantellata. Il palazzo della sede principale in Via Meravigli ed i punti vendita di abbigliamento sono ceduti ad una ditta privata, gli spacci alimentari sono incorporati nell’Azienda Consorziale dei Consumi del Comune di Milano, anch’essa in non floride condizioni. Viene creato un nuovo ente, l’Unione Cooperativa Milanese dei Consumi, che dopo qualche anno di equilibrismi contabili, viene posto in liquidazione coatta all’inizio del 1935. 

Il 26 gennaio 1930 La Libertà, un giornale edito a Parigi nei circoli dei fuoriusciti italiani, riporta la notizia della liquidazione. I commenti sono espliciti: “L’Unione Cooperativa, il grande istituto fondato da Luigi Buffoli, quello che con l’Alleanza Cooperativa di Torino, era conosciuto all’estero come il più possente organismo cooperativo italiano, cessa di esistere. … L’Unione Cooperativa, una gloria milanese, celebre in tutto il mondo, fu. I fascisti l’hanno divorata viva in pochi anni”.

 

 

 

A.1.3. – Come nasce la Città Giardino di Milanino

 

Nella seconda metà dell’Ottocento, in tutte le principali città d’Europa sono ormai evidenti i danni che lo sfrenato sviluppo industriale provoca sulla popolazione delle classi meno agiate, sui proletari urbani ma anche sul nuovo ceto impiegatizio. Le misere condizioni di vita, dovute alla scarsità di alloggi ed al conseguente affollamento, provocano malattie e degrado ai quali si tenta di porre rimedio in vario modo. Si diffondono le idee socialiste e del movimento cooperativo, ed è sempre più numerosa la schiera dei cosiddetti riformatori, cioè di coloro che a vario titolo (studiosi, amministratori, deputati) propongono nuovi approcci o forme di sostegno a favore delle classi più svantaggiate. Oltre al tema igienico-sanitario (le città cominciano a dotarsi di acquedotto e fognatura e, un po’ più tardi, di illuminazione pubblica) vengono affrontati anche gli aspetti sociali. Nascono società di Mutua Assistenza, Banche Popolari e Casse di Risparmio, mense, scuole popolari, biblioteche circolanti, ecc… La beneficenza cessa di essere un’iniziativa degli enti religiosi ed i comuni stanziano risorse per alcuni interventi ad esempio a favore degli orfani e dei malati.

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Alla base di tutto comunque è il problema dell’alloggio, di cui comincia ad occuparsi anche la cooperazione: come si può porre rimedio a quei casermoni dove la speculazione costringe migliaia di famiglie in condizioni disumane? A parte alcune utopie circa la città ideale che circolano già da alcuni decenni, prende sempre più corpo, prima nel dibattito e poi anche nei tentativi di attuazione, l’idea della bassa densità, del verde, degli spazi aperti, dell’aria pura, cioè il tentativo di portare in città un po’ di ruralità.

Del problema inizia ad occuparsi anche l’Unione Cooperativa, spinta dal visionario Luigi Buffoli: nel 1904 viene modificato lo statuto per inserire anche l’alloggio tra i servizi che la cooperativa può fornire ai soci.

La questione posta è la seguente: come si po' dare a ricchi e poveri, ugualmente, una casa comoda con largo spazio per respirare, rispettando le bellezze della natura? In una parola come combinare insieme i vantaggi della città e della campagna, eliminando gli svantaggi dell’una e dell’altra? [“I villini a buon mercato – Le Città Giardino” in La Lettura marzo 1906].

 

Realizzata tra il 1909 ed il 1912 (i primi abitanti sono del 1911), anche la Città Giardino di Milanino fu una risposta all’emergenza casa che attanagliava Milano ed il suo hinterland (diremmo oggi) nei primi anni del ‘900. 

Il piano urbanistico del Milanino nel 1911

 

Ispirata alle Garden City inglesi dell’epoca, sorse per opera dell’Unione Cooperativa, all’epoca la più forte cooperativa italiana, e del suo infaticabile presidente, Luigi Buffoli. Lo spirito solidale e cooperativo di una casa per tutti a costi accessibili si realizza in un progetto unitario di un quartiere dove si coniugano i vantaggi della vicinanza alla città (vita sociale e culturale, opportunità lavorative, accesso ai servizi scolastici e sanitari) e quelli della campagna (aria sana, spazio, riposo e tranquillità, contatto con la natura).

Buffoli con i suoi consiglieri in visita ai terreni destinati al Milanino per valutarne l’adeguatezza.

 

L’Unione Cooperativa acquista le aree e realizza strade, ampie e quasi tutte alberate, marciapiedi, acquedotto, fognatura, rete elettrica e rete gas. Cede ai privati i lotti sui quali si realizzano villini e casette a schiera con un regolamento, allora eccezionale, a protezione del verde e dei giardini. Una cooperativa di inquilini costruisce decine di alloggi da cedere in affitto a chi non può permettersi l’acquisto. 

Alberature stradali, cespugli a fioritura distribuita nel corso dell’anno sui viali principali, spazi pubblici a verde, strade curve per potenziare l’effetto paesaggistico completano il disegno di un quartiere ideale che, nonostante lo sviluppo edilizio sfrenato del secondo dopoguerra, dopo oltre un secolo ha mantenuto i caratteri originari della bassa  densità e della ricca dotazione di verde.

Ancora oggi si realizza il sogno di allora, “…in cui ognuno possa avere la sua casetta, semplice ma pulita, fiancheggiata da un giardinetto, in cui gli sia permesso di respirare liberamente qualche ora all’aria libera, in mezzo al verde ed ai fiori, la sera, dopo uscito dall’ufficio o dall’officina” [da una pubblicità di Milanino del 1912]. 

Grazie a Milanino, l’intero Comune di Cusano Milanino fu tra i primi in Italia a dotarsi di un piano regolatore ed oggi rappresenta una invidiata eccezione nell’hinterland milanese. 

Costituitasi nel 1909, l’anno successivo, forte di 1500 soci ed un consistente capitale sociale, la Cooperativa Inquilini di Milanino acquista dall’Unione Cooperativa un primo lotto di 14.000 mq per costruire case da cedere in affitto ai soci.

Nel 1911 i primi 34 alloggi, del tipo casette a schiera, diremmo oggi, sono pronti: il quartiere tra via dei Tigli, Via Cooperazione, via Edera e via Reseda. In via del Giglio registriamo il primissimo abitante di Milanino (maggio 1911), un dipendente dell’Unione Cooperativa.

Nell’ideale di Buffoli, dopo che i terreni venduti per le ville sui viali principali avevano ripagato l’ingente investimento per l’urbanizzazione dell’intero villaggio, tutto il resto di Milanino avrebbe dovuto essere costruito da società cooperative su lotti da esse acquistati, in modo che da una parte restasse vivo l’ideale solidale e mutualistico che ispirava l’Unione Cooperativa e dall’altra l’incremento di valore del suolo e degli immobili fosse a vantaggio della collettività e non dei privati proprietari. 

Con la morte di Buffoli (5 ottobre 1914) e la Grande Guerra, il progetto di Milanino si arenò e con esso il sogno di una casa cooperativa nella Città Giardino. Il primo quartiere realizzato ebbe infatti poco seguito; solo qualche immobile costruito da questa cooperativa.

 

A.1.4. – Howard e l’esempio delle Garden City inglesi

 

Il primo a sistematizzare l’idea della Città Giardino, formulando una teoria coerente, fu Ebenezer Howard (1850-1928). Dopo studi ed approfondimenti sui temi sociali (qualcuno gli attribuisce simpatie per il socialismo), nel 1902 pubblica la seconda edizione di Garden Cities of To-Morrow (Le Città Giardino di Domani). Poco dopo Howard fonda la Garden City and Town Planning Association che pubblica una rivista ed inizia a raccogliere fondi per la prima realizzazione.

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Secondo una definizione attribuita allo stesso Howard (1919) "una Città Giardino è una città concepita al fine di assicurare alla popolazione sane condizioni di vita e di lavoro. Le sue dimensioni devono essere opportunamente sufficienti per permettere il pieno sviluppo della vita sociale. È circondata da una cintura rurale, essendo il suolo totalmente di proprietà pubblica o amministrata per fide commissione per conto della comunità".

L’idea di unire in un unico posto i vantaggi della città (opportunità lavorative e culturali, relazioni sociali, servizi sanitari e scolastici, negozi) con quelli della campagna (produzione agricola, vita sana a contatto con la natura, aria pura, spazi aperti, sole e luce) eliminando gli svantaggi di entrambi (inquinamento, affollamento, rumore, condizioni igieniche pessime in città, isolamento, mancanza di relazioni e di opportunità in campagna) in fondo non era una novità. Quartieri o sobborghi a bassa densità e con tanto verde pubblico e privato erano già stati realizzati sia negli Stati Uniti che in Europa. Howard la sviluppa ipotizzando una vera e propria città economicamente autosufficiente nella quale siano rappresentati tutti i ceti sociali e siano presenti opportunità lavorative per tutti, con esclusione solo delle industrie più inquinanti, all’epoca quelle chimiche. 

La struttura effettiva della città dipenderà dalle condizioni particolari del terreno, ma le caratteristiche fondamentali sono le dimensioni limitate e il numero limitato di abitanti (30.000 abitanti su circa 4 kmq), una cintura agricola circostante in grado di mantenere la città, bassa densità (non più del 40% di copertura sui lotti privati), abbondanza di verde pubblico, proprietà collettiva del terreno. Per evitare la speculazione, Howard propone che la Città Giardino sia gestita da una società alla quale dovrebbero partecipare soprattutto gli abitanti stessi.  Essa è proprietaria di tutti i terreni dei quali cede ai privati, secondo un piano preordinato di urbanizzazione, il diritto d’uso per le abitazioni e le attività economiche, mantenendo la gestione dei servizi, in modo che l’incremento dei valori immobiliari sia a vantaggio di tutti i residenti.

Letchworth Garden City in un cartolina pubblicitaria dell’epoca

 

Già nel 1903 inizia la costruzione della prima Città Giardino, Letchworth, cinquanta km a Nord del centro di Londra. Lo sviluppo è inferiore alle attese e subentrano difficoltà economiche. Ciò nonostante, fino alla metà degli anni 20, Letchworth mantiene comunque una unitarietà ed omogeneità nelle soluzioni urbanistiche ed edilizie, che ha saputo poi conservare fino ai nostri giorni.

Welwyn Garden City in una immagine d’epoca

 

La seconda Città Giardino, Welwyn, viene costruita a partire dal 1919, molto più vicina a Londra. Qui il successo è più rapido, proprio perché si rinuncia all’autosufficienza completa: la superficie è più piccola, la cintura agricola più limitata e praticamente ridotta ad una cintura verde, la metropoli è vicina è può essere raggiunta per ogni necessità. Dal 1925 si insediano anche alcune fabbriche, grazie alle quali Welwyn riesce a qualificarsi almeno in parte come centro autonomo.

Il sobborgo giardino di Hampstead è opera di Henrietta Rowland, singolare figura di appassionata d’arte e riformatrice sociale. Figlia di un ricco uomo d’affari, frequenta fin da giovane riformatori e socialisti inglesi, con i quali collabora in diversi progetti; con il marito, il pastore Samuel Barnett, attivo nel ghetto ebraico a Whitechapel, in una delle parrocchie più povere e degradate di Londra, acquista una casa nei pressi della brughiera di Hampstead, per la quale circolavano progetti di intenso sfruttamento edilizio. I coniugi Barnett maturano così l’idea di costruire, ai margini della brughiera, un quartiere giardino ispirato alle idee di E. Howard, che fornisse un alloggio sano e moderno anche ai meno abbienti ed al tempo stesso preservasse dall’imminente cementificazione (diremmo oggi), almeno parte di quell’area ancora vergine. Nel 1906 costituiscono una società senza scopo di lucro che acquista i primi 243 acri (quasi un milione di m2) di quello che sarebbe divenuto il quartiere giardino di Hampstead. Poche ma significative le regole imposte fin dall’inizio: possibilità per tutte le classi sociali e qualsiasi livello di reddito, bassa densità, strade ampie ed alberate, siepi e non muri a separare le case, boschi e giardini pubblici accessibili a tutti senza nessuna limitazione, chiese senza campane per assicurare silenzio e pace.

Hampstead in una cartolina d’epoca

 

Il progetto, affidato a Unwin e Parker, già attivi a Letchworth, prevede case più grandi per i benestanti e case più modeste con affitti contenuti per i lavoratori, pur mantenendo una qualità sempre eccellente. Insieme alle case, tutti i servizi: chiesa, municipio, biblioteca, museo e galleria d’arte, palchi per la musica, giardini con panchine, campi da tennis, sale di ristoro e giardini da tè, laghetti per remare e navigare, case per anziani, case in associazione per i giovani, case a schiera per donne sole.

Luigi Buffoli visitò Hampstead nel corso di un viaggio-studio in Inghilterra (estate 1907), riconoscendo in quella realizzazione il modello ideale per il Milanino a cui stava lavorando: 

"In questo sobborgo giardino non vi sono stabilimenti industriali, vi si gode la tranquillità, la purezza dell’aria, la visione degli alberi e dei fiori, il senso di benessere ed il riposo che prolunga la vita."

Hampstead probabilmente colpì Buffoli perché non era solo un progetto urbanistico e architettonico, ma anche (o soprattutto) un riuscito esperimento sociale. 

A.1.5 – il Monumento a Buffoli

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La raccolta di fondi per “un ricordo marmoreo da erigersi a Milanino” in onore di Buffoli fu lanciata dalla Unione Cooperativa, dalla Società Alberghi Popolari e dalla Cooperativa Inquilini di Milanino già in occasione dei suoi funerali (7 ottobre 1914 a Milano, 8 ottobre a Milanino).  Pochi giorni dopo (10 ottobre) è pubblicato il primo elenco di sottoscrittori per L 5.500. Dopo un mese si raggiunte la cifra di L 10.000. Poi la guerra ritarda ma non blocca l’iniziativa. 

A gennaio 1916 è presentato il bozzetto che servirà da base per il progetto

Nell’estate del 1919 si può finalmente pensare alla realizzazione. La “somma a suo tempo raccolta” (L 50.000) è ora insufficiente a coprire i costi (L 62.000), ma il Consiglio dell’UC decide di coprire la differenza “per non ritardare il doveroso onore alla memoria del fondatore della Società e purissimo apostolo del pensiero cooperativo”.

Alla cerimonia di scoprimento del monumento del 24 ottobre 1920 parteciparono più di 1000 persone.

La descrizione del monumento su l’Idea Cooperativa del 31.10.1920

La sorella di Buffoli, Carolina Roux, depone fiori alla cerimonia di inaugurazione.

 

 

A.1.6. - La cronaca della inaugurazione del monumento

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Leggi qui la cronaca della cerimonia di inaugurazione del monumento pubblicata su l’Idea Cooperativa del 30 ottobre 1920

Approfondimenti a cura di:

Gabriele Marazzini
APS Archivio Storico Cusano Milanino

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